lunedì 23 settembre 2013

La mia lettura di "Geografia commossa dell'Italia interna"

Personalmente mi considero una neofita della paesologia. L'ho scoperta soltanto lo scorso anno, quando, da tipica appartenente al "mondo degli infermi" (così come lo descrive Franco Arminio nella sua "Geografia commossa") mi sono ritrovata a seguire in streaming il Forum sulle aree interne promosso dal DPS. Ascoltare Franco e sentirlo parlare di "nuovo umanesimo delle montagne", o proporre "canto e teatro" come strategia alternativa alla politica delle "betoniere" mi fece sussultare sulla poltrona.
Praticamente stavo scoprendo un nuovo  maestro. A sua insaputa. Mi sentii "illuminata", forse come quando scoprii che nel mio percorso di ricercatrice sarei diventata una sociologa umanistica, leggendo Berger e Luckmann. In chiusura del loro saggio "La realtà come costruzione sociale"  i due autori invitano la sociologia a ripensarsi come scienza umanistica. Ciò significava considerare la società non solo come una somma di individui, ma come parte di 

un mondo umano, fatto da uomini, abitato da uomini e a sua volta costruttore di uomini, in un incessante processo storico

Alla sociologia umanistica toccava quindi il compito (non meno importante rispetto a quelli assolti dalla sociologia positivista) di 

ridestare la nostra meraviglia di fronte a questo stupefacente fenomeno. 

Era il paradigma che volevo far mio.

Certo era un approccio totalmente nuovo per la sociologia degli anni Sessanta, ma già un po' datato e superato per quella del 2000. E allora ancor più rivoluzionario (e promettente allo stesso tempo) mi è sembrato sentir dire oggi che la politica debba intrecciarsi con la poesia e la economia con la cultura! (Parole che risuoneranno come abominio ed eresia alle orecchie di molti. Forse di troppi. Ma che come piacevole musica suonano alle mie...)

Considero "Geografia commossa dell'Italia Interna" un testo di rottura (anche cognitiva), di provocazione costruttiva che scardina dal di dentro le categorie cui si riferisce.

1) In primo luogo quella di "area interna". Nel corso di #arint2012, ISTAT e altri istituti di ricerca, aprono il dibattito discutendo di indicatori... quali di questi servono a descrivere e definire che cosa è una area interna? Inutile dire che se ne è fatto un gran parlare. Utile, utilissimo. Tuttavia permangono i nodi di sempre. È sufficiente ricorrere ad indicatori spaziali (quanto dista una località dal centro urbano? Ecc.) oppure bisogna usare anche indicatori economici? E demografici? Forse si potrebbe ricorrere a degli indici sintetici... Robba da statistici. Franco fa sue queste distanze e crea un "indice umanistico", dicendo che l'Italia interna è, e non può che essere, prima di tutto una "categoria esistenziale" (oltre che, ovviamente, un topos poetico), così come lo è quel Sud, così "gremito di tanti Sud". L'Italia interna è poi una "categoria emotiva", soggettiva, perché è quella che riesce ancora a commuoverti, nel senso etimologico del termine (commotus)... a mettere in moto l'animo...

2) L'idea di movimento, dinamicità dell'anima e del corpo cui si riferisce costantemente Arminio richiama alla mente lo scardinamento di un'altra categoria, quella di comunità. La locuzione di "comunità provvisoria" da lui coniata a rappresentazione dei suoi "parlamenti paesologici"  potrebbe sembrare un ossimoro, come il silenzio assordante che si sente tra le nostre macerie, soprattutto se si pensa che per Tonnies (uno dei padri fondatori della sociologia nonché tra i primi teorizzatori del concetto di comunità) la comunità rappresentava una idea organicistica, totalizzante, assolutamente statica

In comunità - diceva lo studioso - gli individui restano uniti nonostante i fattori che li separano e vanno in società come in terra straniera 

Le comunità provvisorie sono composte per lo più da giovani, da generazioni che si stanno reinnamorando dei nostri paesi, considerati dai padri come vuoto a perdere, come vecchiume del quale disfarsi in nome della modernità. Sono comunità che si spostano da Nord a Sud e viceversa. L'idea dellla provvisorietà mi piace perché sfata finalmente la retorica dell' endogenesi e il mito della comunità locale. Arminio a tal proposito lancia un'altra provocazione, un altro ossimoro e dice che non può esserci intimità senza distanza. È vero che per poter comprendere un paese bisogna 
  
lasciarsi infiammare dalla residenza
 
ma nello stesso tempo serve uno sguardo esterno. E non per guardare fuori, al Nord, come hanno fatto tanti prima di noi, oppure come la montagna guarda alla città, ma per scoprirsi dentro, per ritrovarsi.

3) Ecco perché piuttosto che risiedere in un luogo perseguendo la smania dell'appartenenza forse sarebbe meglio pensarlo nell'ottica della adozione. Il suggerimento di Franco è quello di adottare un luogo e prendersene cura, non possedere o appartenere. Spesso anche qui in Abruzzo le iniziative più interessanti vengono proprio da parte di "stranieri".

Per uscire dall'autismo corale non possiamo tornare indietro ad una comunità che ormai non ha più senso. Dobbiamo bruciare questo delirio e vedere sotto la cenere che cosa rimane.

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